Dopo ventiquattro letti diversi, ( o meglio ventitrè letti e un giaciglio costruito con otto poltrone (tipo consiglio di amministrazione , fortunatamente senza braccioli), sono tornato al mio letto. Mi ha accolto con la sua benefica rigidezza, una vera piazza d’armi, rispetto a certe brandine o lettiere dove ho riposato nelle ultime tre settimane. Ogni sera quando cammino, al momento di stendermi, ringrazio Madre Natura che mi ha dato, tra i tanti regali ricevuti, anche quello di poter dormire praticamente su qualsiasi superficie. Mi basta solo essere un po' stanco, e il Cammino questa stanchezza è in grado di garantirla quotidianamente.
Ma forse questa adattabilità è anche un effetto collaterale del mio primo lavoro, di medico rianimatore. Ricordo che all’inizio della mia “non carriera” avevo ogni mese cinque o sei turni di notte alla Rianimazione I, dell’Ospedale Policlinico San Matteo di Pavia. Ed erano turni che non comportavano la possibilità di sfruttare il morbido letto della camera del medico, per cui ogni momento di “tranquillità”, sia pur relativa, era buono per un pisolo, appoggiando la testa sul piccolo tavolo della piccolissima cucina del reparto. Pochi minuti magari, ma profondissimi, che aiutavano, insieme ad un certo numero di caffè, ad arrivare al cambio di turno delle otto del mattino in condizioni ancora di massima operatività
E anche sul cammino mozarabe è andata così: morbido o duro, stretto o corto, non c’è stato letto che non mi abbia permesso di applicare ogni notte, la regola n.1 del Cammino:
Alla sera morto,
Al mattino risorto!.