Credo che sia ragionevole pensare al calcio come ad una gallina dalle uova d’oro. Non al calcio vissuto in borgata, o al bar, con la cieca forza di un amore corrisposto o tradito. Intendo quello moderno, dei magnati, delle sponsorizzazioni, dei contratti monstre, dei diritti televisivi e di streaming, di quel castello di sabbia insomma che, nelle mani dei soliti, è diventato il calcio di questi ultimi anni. A ciò dobbiamo purtroppo aggiungere la dilagante violenza che ha penetrato la società e ha trovato nelle tifoserie un ottimo mezzo di contagio.
Da qualche tempo un gruppetto di proprietari/gestori di ovaiole stava tramando per aumentare ancor di più il contenuto del metallo prezioso nel tuorlo dei loro prodotti, mettendo a punto formule ingegneristiche ad alto contenuto economico e a basso impatto emozionale, spaventati dalla voragine dei debiti nella quale si sono venuti a trovare.
Finalmente la sera di una domenica il mondo del calcio, ma non solo, è investito da una notizia straordinaria: le galline hanno prodotto un uovo che promette soldi a tutti i soci di un ristretto di club dell’eccellenza, lascia briciole agli altri, e dichiara che cotanto progetto avviene “per il bene del calcio”.
La reazione è immediata. Come abbiamo visto nelle ultime trentasei ore: le istituzioni internazionali del calcio – non certo esenti da critiche- primi ministri, allenatori, giocatori che non siedono nell’olimpo, ma soprattutto i tifosi più “seri”, gli inventori degli hooligans, gli inglesi, si sollevano e costringono le rispettive dirigenze al passo indietro. Meno reattivi i mediterranei, ma ci sta, come ci racconta la storia.
Cosl’uovo d’oro è diventato frittata, eppure maleodorante, e qualche agnello non sa se arriverà indenne fino alla prossima Pasqua.