Il NINHO (Nido in portoghese) è una casa rustica, sul Cammino da Oporto. Costruita in pietra a vista. Poche e piccole le finestre. Una casa come mille che si incontrano su Cammini lontani dal traffico della vita di tutti i giorni. Questa, sulla strada provinciale che porta a Rubiaes, potrebbe essere in Lunigiana, o salendo verso Hospitales, dovunque insomma, in uno di quei luoghi che, grazie ai Cammini, si ostinano a non diventare “non luoghi”. Roberto ed io apriamo il “cancello” ed entriamo.
On effetti si tratta di un cancelletto costruito a mano, proprio delle case povere, da una mano né tecnologica, né semplicemente artigiana, abbastanza solido per non cadere a pezzi, e abbastanza cancello per “controllare” l’accesso al perimetro della proprietà.
Dopo il cancello, sulla destra c’è un giardino poco curato, e un tavolino traballante, due seggiole e una sdraio, accesso alla “reception”, come indica una scritta a mano su una rozza tavola a forma di freccia scurita dalla pioggia e dal sole. O semplicemente dal tempo.
Il giardino si prolunga in un vialetto dal fondo sconnesso, che corre lungo il muro e termina davanti a qualche scalino di una seconda costruzione. Lungo il muro scarpe, scarponi, bastoni e racchette. “’ Ce qualcuno,” chiedo ripetendolo in portoghese. Dalla reception esce una signora- olandese, scopriremo più avanti. Con la testa ci fa segno di si, ma con un movimento rotatorio della mano a pollice e indice estesi, e le altre dita chiuse a pugno (movimento molto poco olandese) ci fa intendere che non sa dove quel qualcuno sia.
La pioggia ci convince a superare la porta. Entriamo per una porta alta non più di un metro e settanta, in un antro oscuro. È una specie di cucina: a destra lavello, stoviglie sparse ad asciugare, un forno a microonde. A sinistra un divano, un tavolo di legno tipo Octoberfest con panche di ordinanza. al fondo una vecchia stufa di ghisa, spenta. Sul tavolo un thermos, un piattino di biscotti tipo Marie, un cesto di frutta.
ll flash back sulle tante “cucine missionarie” frequentate nei miei anni africani è immediato. Mi sento come d’incanto a casa.
Tolgo le scarpe e si sprigiona il tanfo della decomposizione. Il reperto è preoccupante: l’arco digitale di entrambi i piedi è sostanzialmente cotto e qualche piccolo lembo di pelle si è staccato dalla base del V e del IV dito lasciando defluire un liquido siero ematico appiccicoso. Mi asciugo e godo della frescura offerta agli pneumatici dal pavimento in lastroni di pietra. Piacere assoluto, non acquistabile con alcuna carta di credito. La felicità in cambio di solo un po' di freddo…
Dopo una mezz’ora entra in cucina un volto difficile da dimenticare: due grandi occhi incastonati in un viso ovale, pallido, magro e incorniciati da capelli nerissimi, fini e lunghi fino a metà schiena. un viso triste che immediatamente è illuminato da un sorriso caldissimo, appena si rende conto dei due ultimi arrivi: “Adriano, vedda eu soy Marlene. Bienvenidos, dice allungando a me e a Roberto una mano magrissima il cui biancore risalta ancora di più uscendo fuori da una manica nera. Questa è casa vostra.
Poi, con calma, ci porta a vedere i letti e scompare di nuovo. Ritorna dopo qualche minuto con una bracciata di legna, accende il cammino, mi dice di avvicinare le scarpe grondanti d’acqua, ma non troppo, registra i nostri dati. Quando vede che sono medico mi chiede se dopo, quando tutti gli ospiti saranno sistemati, mi potrà chiedere un consiglio. Certo che si, rispondo, e siccome non sono un avvocato, il mio parere sarà gratuito! un altro sorriso, bellissimo, che rallegra – ma è solo questione di un attimo – quel viso triste e sofferente.
Gli ospiti vanno e vengono, in un ambiente davvero di casa: per raggiungere le docce gli ospiti devono attraversare la cucina e passano davanti al tavolo dove Roberto ed io siamo crollati. Vanno claudicanti e al ritorno zampettano arzilli: miracolo della doccia, specie se calda, una delle più grandi invenzioni della storia del benessere…
Anche noi abbiamo diritto a una doccia, ma nella nostra “suite” con due letti a castello, ricavata in una fenditura tra il corpo principale del Ninho (quello della reception-antro-cucina) e la costruzione accessoria cui si accede attraverso i gradini al fondo del vialetto, dove vive la mamma di Marlene. La suite deve essere stata fino a poco tempo fa la abitazione del vecchio asinello di taglia medio/piccola che bazzica attorno e che ci punta con un fondo di risentimento quasi ad accusarci di averlo sloggiato dalla sua stalla. Ma forse siamo noi che nel tempo delle “narrazioni” indulgiamo con costruzioni virtuali di un reale cubicolo di 4x2,5 metri: metà occupati dai due letti a castello e l’altra metà dai servizi.
Marlene ci ha riservato la lettiera bassa mentre l primi piani vanno a due brasiliani (padre e figlio, medico). Roberto pare più interessato a parlare con me che con i suoi connazionali. Mi spiegherà più tardi che non corre molta simpatia tra “paulisti” (come lui) e “quelli là” e penso ai pisani e al loro difficile rapporto con i livornesi, anche al di fuori dei campi di calcio.
Durante la complessa operazione lava-asciugheria, conosciamo Pedros, fratello di Marlene. Un ragazzone alto quasi due metri, i capelli a cespuglio che gli funzionano anche come warning system per prevenire capocciate contro il soffitto della balconata che si affaccia sull’antro cucina.
Sistemati gli ospiti Marlene viene a sedersi al mio fianco e mi chiede come stia andando con il cibo portoghese. Ottimamente le rispondo, mi spiace solo di non riuscire a trovare, se non in rarissime occasioni, il Riso al Carril de Camarao, e le racconto dei miei ricordi mozambicani al riguardo.
Mi guarda, mi sorride e si offre di prepararlo: non l’ho mai cucinato, ma tra mia mamma e internet ci riusciamo certamente. Anche Roberto è d’accordo e due olandesi, richiamati dal tema gastronomico, si aggiungono al progetto. Marlene scompare, mentre Pedros ci racconta un po' di storia del Ninho. È una storia che si ripete spesso lungo il cammino, nata con l’entusiasmo di un “fai da te”, figlio di una proprietà immobiliare da mantenere in un momento di risi (siamo nel 2017) che non offre opportunità di lavoro ai giovani laureati (e Marlene e Pedros lo sono).
Il Ninho è aperto da due anni e permette ai due ragazzi di pagare le rate del mutuo, le bollette, di vivere in modo dignitoso e di assistere la anziana madre.
Si avvicina l’ora della cena e della socializzazione. Due ragazzi americani residenti a Roma, la coppia di olandesi prenotata per il Carril, cinque brasiliani, con Roberto, e due spagnoli già incontrati a Bercelitos, Carlos disperato per le sue vesciche e il suo amico della Rioja, veterano del Cammino francese. Per ultima arriva una spenta e claudicante ragazza tedesca, allergica al alles zuzammen, che si isola in un angolo, accarezzandosi un ginocchio-melone.
Marlene entra ed esce dall’antro, cura il camino, prepara un caffè per gli ultimi arrivati, riempie i formulari per la polizia, aiuta la ragazza tedesca a curarsi ginocchio e vesciche, mette sul tavolo un grosso pane scuro, croccante, leggero e ancora caldo. Poi mi viene vicino, mi stringe forte il braccio cerca i miei occhi e mi racconta di avere saputo da pochi giorni di essere affetta da una malattia rara a decorso progressivo, causa finalmente scoperta dopo anni di affannose indagini cliniche. Cerco di rassicurarla come lo si può fare in queste situazioni, evocando la importanza della “lotta personale” alla malattia…Mi guarda un po' dubbiosa ma quando e dico che ci sono mezzi per rallentare moltissimo il decorso della malattia e per controllare il dolore muscolare che ne è il sintoma peggiore, mi stringe nuovamente il braccio , mi sorride e mi promette che mi farà avere notizie sul decorso clinico.
Il riso è pronto, i gamberoni in salsa di Carril pure, così come due ottime bottiglie di vino tinto e un dolce “casero”.
Saliamo le poche scale che ci portano alla cucina della mamma e allegramente consumiamo l’ultima cena al Ninho. Marlene non si ferma con noi, va e viene come un folletto a vedere tutti i suoi ospiti prima di spegnere la luce.
Inutile dire tra mamma e internet il “Carril” fu splendido!
Marlene la trovate al Ninho di Rubiaes. Ancora.
El NINHO es una casa rústica, en el Camino Portugués. Construido en piedra a vista. Pocas ventanas y pequeñas. Una casa tal como las que se encuentran en Caminos alejados del tráfico de la vida cotidiana. Este, en la carretera provincial que conduce a Rubias, podría ser en Lunigiana, o subiendo hacia Hospitales, en cualquier lugar, en definitiva, que, gracias a los Caminos, insisten en no convertirse en "no lugares".
Roberto y yo abrimos la "puerta" y entramos.
En efecto, es un portón hecho a mano, típico de las casas pobres, por un lado ni tecnológico ni simplemente artesanal, lo suficientemente sólido para no desmoronarse, y lo suficientemente portón para "controlar" el acceso al perímetro de la propiedad.
Después de la puerta, a la derecha hay un jardín en mal estado, y una mesa tambaleante, dos sillas y una tumbona, acceso a la "recepción", como lo indica una inscripción manuscrita en una flecha en madera oscurecida por la lluvia y el sol. O simplemente por el flujo del tiempo.
El jardín se prolonga en un camino con un fondo accidentado, que corre a lo largo del muro de la casa y termina frente a unos pocos escalones de un segundo edificio. A lo largo de la pared hay zapatos, botas, palos y raquetas. "' Hay alguien," Pregunto repitiéndolo en portugués. Una señora holandesa (lo descubriremos más tarde) sale de la recepción. Con la cabeza asiente que sí, pero con un movimiento giratorio de la mano con el pulgar y el índice extendidos, y los otros dedos cerrados en puños (movimiento muy poco holandés) nos hace entender que no sabe dónde está ese alguien.
La lluvia nos convence a entrar en la recepción. Pasamos por una puerta de no más de un metro setenta de altura, en una cueva oscura. Es una especie de cocina: a la derecha hay un fregadero, platos esparcidos a secar, un horno microondas. A la izquierda, un sofá, una mesa de madera tipo Octoberfest con bancos de ordenanza. En el fondo, una vieja estufa de hierro fundido, apagada. Sobre la mesa, un termo, un platillo de galletas tipo María, una cesta de frutas.
El recuerdo de las muchas "cocinas misioneras" que frecuentaba en mis años africanos es inmediato. Me siento “en casa”.
Me quito los zapatos y se libera un hedor a descomposición. El hallazgo es preocupante: el arco digital de ambos pies está sustancialmente cocido y algunos pequeños colgajos de piel se han desprendido de la base del quinto y cuarto dedo, dejando salir un suero sanguíneo pegajoso. Me seco y disfruto del frescor que ofrecen a los neumáticos las losas de piedra. Placer absoluto, no se puede comprar con ninguna tarjeta de crédito. Felicidad a cambio de un poco de frío …
A la media hora entra en la cocina un rostro difícil de olvidar: dos grandes ojos fijados en un rostro ovalado, pálido, delgado y enmarcado por una melena muy negra, fina y larga hasta la mitad de la espalda. Un rostro triste que inmediatamente se ilumina con una sonrisa muy cálida, en cuanto se da cuenta de las dos últimas llegadas: “Adriano, verdad eu soy Marlene”. Bienvenidos, dice, tendiéndonos a Roberto y a mí una mano muy fina cuya blancura se destaca aún más cuando sale de una manga negra. Esta es tu casa .
Luego, con calma, nos lleva a ver las camas y pronto desaparece. Vuelve a los pocos minutos con un brazado de madera, enciende el fuego, me dice que traiga los zapatos totalmente mojados, registra nuestros datos. Ve que soy médico Y me pregunta si más tarde, cuando todos los invitados estén acomodados, podrá pedirme consejo. Claro que sí, respondo, y como no soy abogado, mi opinión será gratis… Otra sonrisa, hermosa, que alegra - pero es sólo cuestión de un momento.
Los “peregrinos” van y vienen, en un ambiente verdaderamente hogareño: para llegar a las duchas, tienen que cruzar la cocina y pasar en frente a la mesa donde Roberto y yo colapsamos. Se aflojan andando y corren en el camino de regreso: un milagro de la ducha, sobre todo caliente, uno de los mayores inventos de la historia del bienestar …
Nosotros también tenemos derecho a una ducha, pero en nuestra "suite" con dos literas, creada en una hendidura entre el cuerpo principal del Ninho (el de la zona de recepción-cocina) y el edificio accesorio al que se accede por las escaleras, al final del camino de entrada, donde vive la mamá de Marlene. Hasta hace poco, la suite debió ser el hogar del viejo burro de tamaño mediano / pequeño que merodea y nos señala con un fondo de resentimiento como para acusarnos de haberlo desalojado de su establo. Pero quizás somos nosotros los que en la época de las "narrativas" nos dejamos llevar por las construcciones virtuales de un cubículo real de 4x2,5 metros: la mitad ocupada por las dos literas y la otra mitad por los servicios.
Marlene nos ha reservado la cama baja mientras que los primeros planos son para dos brasileños (padre e hijo, médico). Roberto parece más interesado en hablar conmigo que con sus compatriotas. Me explicará más tarde que no hay mucha simpatía entre los "paulistas" (como él) y "los de allí" y estoy pensando en los pisanos y su difícil relación con los de Leghorn, incluso fuera de los campos de fútbol.
Durante la compleja operación de lavado y secado, conocemos a Pedros, el hermano de Marlene. Un niño grande de casi dos metros de altura, con el pelo tupido que también funciona como sistema de alerta para evitar choques de la cabeza contra el techo del balcón que da a la cueva de la cocina.
Una vez que los peregrinos descansan, Marlene se sienta a mi lado y me pregunta cómo me encuentro con la comida portuguesa. Espectacular le digo, solo lamento no poder encontrar, si no en muy raras ocasiones, ll Carril de Camarao, y les cuento mis recuerdos mozambiqueños al respecto.
Me mira, me sonríe y se ofrece a prepararlo: nunca lo he cocinado, pero entre mi mamá e internet ciertamente lo logramos. Roberto también está de acuerdo y dos holandeses, atraídos por la temática gastronómica, se suman al proyecto. Marlene desaparece, mientras Pedros nos cuenta un poco de la historia del Ninho. Es una historia que muchas veces se repite en el Camino, Nace con el entusiasmo de un "hágalo usted mismo", es hijo de una propiedad inmobiliaria que debe mantenerse en un momento de gran crisis (estamos en 2017) y sin ofertas de oportunidades para los jóvenes graduados (y Marlene y Pedros lo son).
El Ninho lleva dos años abierto y permite a los dos chicos pagar la hipoteca, las facturas, vivir dignamente y ayudar a la anciana madre.
Se acerca la hora de la cena y la socialización. Dos chicos estadounidenses residentes en Roma, la pareja holandesa fichada por el Carril, cinco brasileños, con Roberto, y dos españoles conocidos en Bercelitos, Carlos desesperado por sus ampollas y su amigo de la Rioja, un veterano del Camino Francés. Por último, llega una alemana aburrida y cojera, alérgica a” alles zuzammen”, que se aísla en un rincón, acariciando su rodilla-melón.
Marlene entra y sale de la caverna, trata la chimenea, hace café para los recién llegados, llena los formularios para la policía, ayuda a la chica alemana a curarse la rodilla y las ampollas, pone sobre la mesa un gran pan moreno, crujiente, ligero y todavía caliente. Luego se me acerca, me aprieta el brazo con fuerza, me busca a los ojos y me dice que hace unos días se enteró de que padecía una rara enfermedad de curso progresivo, causa que finalmente se descubrió tras años de frenéticas investigaciones. Trato de tranquilizarla como se puede hacer en estas situaciones, evocando la importancia de la "lucha personal" contra la enfermedad … Ella me mira un poco dubitativa pero cuando le digo que hay medios para frenar mucho el curso de la enfermedad y para controlar el dolor muscular que es el peor síntoma, vuelve a apretarme el brazo, me sonríe y me promete que me informará sobre el curso clínico.
El arroz está listo, las gambas en salsa carril también, así como dos excelentes botellas de vino tinto y un postre casero.
Subimos las pocas escaleras que nos llevan a la cocina de mamá y con alegría consumimos la cena en el Ninho. Marlene no se detiene con nosotros, va y viene como un elfo para ver a todos sus invitados antes de apagar la luz.
No hace falta decir que entre mamá e Internet, ¡el "Carril" fue espectacular!
Marlene y su sonrisa la podrán encontrar en el Ninho en Rubiales. Todavía.
EL CAMINO INGLES ENTRE SUENO Y REALIDAD Cada vez que parto al Camino, me gusta dejar pequeños desórdenes en casa, quiero decir objetos que no están colocados en su lugar habitual: el periódico abierto en la cama, los auriculares del teléfono colgando en un anta de la cocina, un fondo de vino en la copa, la ceniza de los últimos puritos. No sé por qué lo haga. Partiendo en un viaje normal, siempre salgo de la casa en orden, tanto para encontrarla igual cuando regrese, como por si no vuelvo, al que le toque ocuparse encontrará un ambiente ordenado ... pero en el caso del Camino, es diferente y me voy sabiendo que al regreso retomaré esos pequeños e insignificantes detalles, el hilo de mi vida normal, después de que se haya abierto la "Burbuja di Santiago" y me haya devuelto al flujo "normal" de mis días. El día cero de un Camino es siempre igual, incluso si hay varios lugares donde se consume: es el día de espera, de los últimos ajustes, de la búsqueda de las primeras flechas amarillas que indican la vía de Santiago, de los primeros encuentros con quien, como tú, está a punto de comenzar el "viaje", cada uno a su manera, con motivos, diseños, programas, expectativas particulares. Y en la espera del primer día, ¿qué mejor que una caña o una copa de albariño? ¿Por qué no? Es más, ¡de hecho, sí! Al kilómetro cero ya has entrado en la mágica burbuja llena de las almas de peregrinos y caminantes reunidos en los dormitorios de albergues o soñando frente a un mapa o su pensamientos… Encontrarse en el Camino, sin importar dónde, sin importar qué, es emoción pura. Es aquí donde el placer de lo pequeño llena tu corazón y cura las heridas y los temores de una mente alerta. El esqueleto está listo para partir por caminos desconocidos: el tiempo no importa, la distancia es un momento en continua evolución hacia la meta.
A SPASSO PER IL CAMMINO INGLESE Ogni volta che parto per un Cammino mi piace lasciare a casa dei piccoli disordini, voglio dire oggetti volutamente non collocati al loro posto normale: il giornale aperto sul letto, le cuffie del telefono appese a uno sportello della cucina, un fondo di vino nel bicchiere , la cenere dell’ultimo Moos. Non so perchè lo faccia. Partendo per un viaggio normale sempre lascio la casa in ordine, sia per ritrovarla tale al mio rientro, sia perchè se non dovessi tornare, almeno chi dovrà curarsene troverà un ambiente in ordine…ma nel caso del Cammino è differente e me ne vado all’aeroporto sapendo che al ritorno riprenderò da quei piccoli e insignificanti particolari, il filo della mia vita normale, dopo che la “Bolla di Santiago” si sarà aperta e mi avrà restituito al “normale” scorrere dei miei giorni. Il giorno zero di un Cammino è sempre uguale, anche se diversi sono i luoghi dove si consuma: è il giorno dell’attesa, delle ultime messe a punto, della caccia alle prime frecce gialle che indicano la via di Santiago, dei primi incontri con chi, come te, sta per cominciare il “viaggio”, ciascuno a suo modo, con motivazioni, disegni, programmi, aspettative particolari. E in attesa del giorno uno, che cosa di meglio di un caldo gallego, di un polpo alla feira, di un bicchiere di Albariño? Perchè no? anzi Proprio si! Ritrovarsi sul Cammino, non importa dove, non importa quale, è pura emozione. Chilometro zero e già sei entrato nella magica bolla riempita dalle anime di pellegrini e viandanti ammassate nelle camerate di albergues o sognanti davanti a un Caldo Galliego ricco di aglio ed aromi. E’ qui che il piacere del poco ti riempie il cuore e rimargina ferite e paure di una mente in allarme. Lo scheletro è pronto a mettersi in marcia su strade sconosciute: il tempo non contala distanza è momento in evoluzione continua verso la meta.
UNO Ritrovarsi sul Cammino, non importa dove, non importa quale è pura emozione. Chilometro zero e già sei entrato nella magica bolla riempita dalle anime di pellegrini e viandanti ammassate nelle camerate di albergues o sognanti davanti a un Caldo Galliego ricco di aglio ed aromi. E’ qui che il piacere del poco ti riempie il cuore e rimargina ferite e paure di una mente in allarme. Lo scheletro è pronto a mettersi in marcia su strade sconosciute: il tempo non conta la distanza è momento in evoluzione continua verso la meta.
DUE Ferrol, mi accompagna l’alba nera nel cammino lungo il porto di una città guerriera e marinara: Arsenale, e caserme bandiere e uniformi, stamberghe e birrerie, marinai in cerca di pronta compagnia. Una notte? poche ore? non importa: piacere assicurato. Una birra, un chupito, il resto scordato. Ferrol, città nobile, centro abbandonato a emigranti e gatti, presenze effimere in strade deserte. Da Ferrol comincia un Cammino.