Se ne è appena andato, tornando a vivere la sua vita, l’ ultimo dei miei figli, il “piccolino” che quest’anno compirà trent’anni. “Vivere lontano” è stato e continua ad essere il denominatore comune della mia vita. Dapprima lontano dalla mia città e dalla mia famiglia negli anni dell’Università . Ogni partenza da casa era la premessa e promessa di un nuovo ritorno. Poi da adulto lontano dal mio Paese seguendo opportunità di lavoro e di vita fuori dalla “normalità” di quei tempi, ed infine adesso, da “mayor” nel ritiro di San Cristobal. Non ci vedevamo da oltre due anni e mezzo, ma sin dal primo momento, quando sono andato a riceverlo all’aeroporto, si è ripetuto quello che ormai chiamo “il miracolo della continuità”. Ciò che mi lega alle persone cui tengo molto non è tanto la presenza fisica, quanto la vicinanza virtuale, il saperle bene, cercare di essere presente anche solo con una parola nei momenti difficile e gioire delle buone cose che succedono. I rari momenti di incontro fisico diventano così tappe, importanti certo, ma non indispensabili, per mantenere vivo un legame che spazio e tempo non possono rompere. Ed è stato così anche questa volta. Ci siamo lasciati davanti all’aeroporto, con la consapevolezza che le cose belle hanno un inizio e una fine, ma, se alimentate dalla fiamma del bene e dell’amore, sono destinate a vivere a lungo.